A Formia l'estate non finiva mai,
era fatta di giorni lunghi, di sole che inondava tutto; Santo Janni,
la torre di Mola, il porto grande, il porticciolo, Vindicio, Gaeta, la montagna spaccata. Alle spalle c'era la cima gibbosa del
Redentore e davanti le scogliere brune come carapaci di granchi che
formavano una cortina frammentata a ridosso della costa. Dalla
camera da letto degli ospiti, dopo il cortile e l'uliveto di Umberto, si vedevano i pescherecci che apparivano e sparivano tra le onde e i traghetti che facevano rotta verso Ponza, Palmarola o Ventotene, consumando
il mare sulla stessa scia per tutta l'estate.
Nonno era andato in pensione e
si era messo a fare il pescatore su una piccola barca costruita da un
maestro d'ascia di Gaeta. Durante la settimana, di giorno, andava
sulle scogliere, per bavose, mazzoni, scorfani, e soprattutto per
certi granchi verdi e lisci che la domenica mattina gli servivano per pescare i polpi. Verso l'imbrunire andava a traina per qualche
occhiata o spigola; si metteva a andatura leggera, a ridosso della
scogliera di fronte la torre di Mola, con il piccolo Evinrude che
arrancava tra le onde. Solo raramente si spingeva fino alle
spiaggette sotto al Miramare; arenava la barca, si tirava su i
pantaloni, e scendeva nell'acqua bassa con una vanga smilza e
robusta; fendeva colpi secchi e repentini nella sabbia, cercando
cannolicchi finché non gli faceva male la schiena.
Ma la
pesca vera, quella dove catturava bestie, la faceva di notte, a
seconda delle lune, degli orari. Andare a pescare con nonno di
notte, resistere in barca per ore senza stancarsi, senza chiudere gli
occhi, era una sfida. Prima lo dovevi convincere a farti venire, e
dopo veniva la prova più grossa: non mollare, non cedere al sonno,
conquistare la sua stima. Ciascun nipote puntualmente tentava di
persuaderlo.
- Nonno mi porti con te.
- No, che t'addormenti.
- Nonno, non m'addormento.
- Sì che t'addormenti!
Nonno si convinceva di rado e
quando accadeva, quasi sempre c'era lo zampino di nonna: - Giovà, e
portatelo, solo stavolta. - Lui restava zitto e non ribatteva più;
un silenzio che equivaleva a dire che avevi il posto in barca.
Scendevamo sotto il ponte vicino la torre di Mola; c'erano delle scalette di pietra ripide
e una banchina esile e lunga. Le
barche stavano attraccate, fianco a fianco, e sembravano già
sonnecchiare sul letto d'acqua placido e buio. Ci spingevamo a remi,
lentamente, nel silenzio della notte, nel punto centrale tra il
ponte e la torre, dove in mezzo, a pelo d'acqua, affioravano degli
scogli sparuti. Nell'attesa paziente di qualche bella spigola, o di
qualche cefalo, scimmiottavo nonno, la sua postura, la sicurezza, il
suo non battere ciglio. Resistevo fino al momento in cui nello
specchio d'acqua cominciava a riflettersi il dondolio di una mezza
luna con sopra un
bambino con il mento sulle mani intento a
scrutare nei fondali: anguille, spigole, cefali, saraghi, occhiate,
granchi, ricci, alghe. Tutto dormiva, e non c'era bisogno di alcuna
pesca, perché tutto nel sonno risplendeva d'oro e tutto era
a portata di mano;
compariva dopo poco anche la ragazzina bionda a cui il giorno primo
avevo regalato il vaso di basilico che stava sul balcone di nonna.
Sembrava sbucare dalla torre o scivolare da quello spicchio di
luna; tutti la guardavamo arrivare, anche i pesci, anche le alghe,
anche nonno che stava sempre zitto ma in fondo non gli
sfuggiva niente.
- San Giovà! Non dormire! - si
incazzava e subito drizzavo la testa che si era afflosciata in
un cuscino invisibile nell'aria umida.
- Stai dormendo?
- No, nonno! - e nonostante la
testa scattasse di nuovo sull'attenti, tutto continuava a essere cosi
bello, tutto danzava, lo spicchio di luna, i pesci, il mare, la
torre, e la ragazzina che nel frattempo si era centuplicata per
quanti erano i suoi capelli biondi e sottili.
- San Giovà! La lenza! -
sbottava nonno, facendomi fare un walzer con la testa che oramai
piegava di lato senza freno.
Quella danza continuava
fino a quando la mattina aprivo gli occhi nella stanza degli ospiti,
nell'ultima stanza a sinistra del corridoio. Mi svegliavo e mi
avviavo verso la cucina da dove provenivano già le prime zaffate del
pranzo. Inzuppavo i biscotti nel latte insieme alle parole di nonna
che stava ai fornelli e mi dava le spalle: - Ti sei addormentato
ieri? Ha detto nonno che non ti porta più -
Rimanevo zitto, tanto sapevo che
nonna era così, e che, nonostante tutto, al momento giusto avrebbe
convinto nonno, un'altra volta. Nonno sarebbe rientrato a ora di
pranzo. Si sarebbe messo a capotavola, rivolto verso la
veranda e i pini della scuola elementare sui quali soffiava
incessante la brezza marina. Subito l'avrei cercato con lo sguardo,
per sincerarmi che non fosse arrabbiato; avrebbe detto: "Giovà"
e basta, che significava che tutto era a posto, che la barca stava
ancora lì e che ci sarebbero state ancora molte notti. Erano i
momenti in cui coglievo un sorriso dietro le sue labbra silenziose;
quello di un pescatore che non andava oltre la bestemmia, di uno che
sapeva che tra gettare la lenza e tirarla su, è sempre questione di
un attimo.