Valentina, sei anni, la domenica è
una disperazione più del solito. Forse l'assenza della scuola, la
noia, il troppo che ha. Sembra una trottola. Stavolta però, verso le
sette di sera, si ferma di colpo, perde il sorriso, si spegne come un
interruttore della luce. Non mangia, non gioca, non sta neanche in
piedi. Dice solo due parole, con un filo di voce: “mi fa male qui”
e indica con il dito il pancino, in basso a destra. Temo il peggio,
un'appendicite. Per fortuna in ospedale ci liquidano con una pizzico
sulla guancia a Vale e un pacca sulla spalla a me. Forse una colica,
forse solo un po' di stanchezza trasfigurata subito in un mostro dal
mio occhio apprensivo. Ogni volta che sta male, però, che perde il
sorriso, che ti guarda quasi consegnata, arresa, è sempre così: mi
maledico. Mi darei cento volte la testa al muro. Tante volte per
quante volte l'ho rimproverata di stare ferma, di non gridare, di non
fare capricci, di non saltare sui divani, di non guardare i cartoni a
oltranza, di non litigare con la sorella, di non sputare l'acqua
fuori al lavandino quando si lava i denti, di non scrivere sui muri,
di non mettere le caccole sotto il tavolino porta tv. Quando non si
sente bene, dico ogni volta, pregando il signore, Valentina fai tutto
quello che vuoi, rompi tutto, grida, fai capricci, che papà, te lo
giura, non ti dice più niente. Basta che sorridi, basta che non ti
fa male niente, basta che ritorni come sei. Una rompipalle, una
bambina perfettamente in parte.